Metallico amore
di Giovanni Buzi
Sono
uno dei protagonisti di questa storia, forse il principale. Tutto
è successo un bella (si fa per dire) sera di mezza estate.
Ero innocentemente (sottolineo l’innocentemente) disteso su
un tavolo d’un ristorante apparecchiato di tutto punto. Fiori
in un vasetto di cristallo, candele accese, piatti di porcellana,
tovaglia di seta bianca e via dicendo. Avete presente una di quelle
terrazze piuttosto chic a strapiombo sul mare. Il mare di Capri, per
la precisione. Vi chiedete che ci facevo disteso su un tavolo apparecchiato?...
Ah sì, forse è meglio che mi presenti. Sono un tipo
serio, d’una ventina d’anni ormai. Slanciato. Alto, più
o meno. Per niente grasso. Magro, non sarebbe esatto, diciamo che
di profilo mi vedo appena. Un tipo “tagliente”, questo
sì. Avete indovinato chi sono ? Eppure non è difficile.
Sono il coltello. Sì, il coltello di questa storia ! Ne ho
abbastanza d’essere descritto, manipolato, infilzato senza che
abbia mai una parola in capitolo. Al più, questi scrittori
di gialli m’onorano di qualche aggettivo : affilato, dalla lama
lucente, pungente, dal manico robusto... Grazie, grazie tante, ma
oggi voglio prendermi la libertà di parlare, di dare la mia
versione. Chi, meglio di me potrebbe raccontarla questa storia? Cosa
hanno trovato infilzato in mezzo al petto di quella bella ragazza,
dorata e appetitosa più d’una faraona al forno ; la fu
contessina Ameriga Stefanucci-Sudigiri ? Me, in carne ed ossa ! Sarebbe
meglio dire in “lama d’acciaio e manico d’argento”.
Eh sì, mi sono ritrovato proprio in mezzo al cuore della splendida,
bionda, croccantissima contessina Ameriga che, ahimè !, proprio
quel giorno compiva i suoi 20 anni. Fosse per me, l’avrei lasciata
in vita ; che dico?, l’avrei adorata per il resto dei miei giorni,
ma che volete, sono nato per infilzare. Il mio destino è quello
di tagliare, penetrare, tagliuzzare, squarciare... Di mia spontanea
volontà, mai, lo giuro ! Come avrei potuto finire d’un
sol colpo in mezzo a quel petto color del miele, più tenero
e profumato d’un maialino di latte in porchetta ? Ma, se con
la mia testa d’acciaio sprofondavo nel suo cuore, con la coda
d’argento, meglio dire, col manico, ero nel pugno dell’assassino.
Chi meglio di me può sapere chi è ?
Devo confessarlo, m’ero perfino innamorato di quella splendida
contessina. È che ho un debole : mi piacciono le ragazze. Nella
mia condizione, vi direte. Sì, lo ribadisco, anche se sono
fatto interamente di metalli (tra i più pregiati, sia detto
en passant), nelle mie intime fibre batte un cuore. Un cuore che è
capace di volere, di desiderare, mi concedete il verbo amare ? E di
Ameriga, nonostante il nome, me ne ero innamorato, pazzamente. Amore
a prima vista. Quella sera, come comparve sulla terrazza, la sua immagine
si riflesse in un baleno sull’intero mio corpo. L’acciaio
brillò del celeste dei suoi occhi, il manico argento fremette
al riflesso del suo abito rosso lamé. Che emozione... Volevo
entrare nel suo cuore, lo confesso. Ma, mai in quel modo; piantato
con violenza da una mano sacrilega !
Da sempre mi sono piaciute le ragazze. Non le magroline, non quelle
su cui c’è passato San Giuseppe con la pialla, per intenderci.
Mi piacciono le ragazze in carne. E lei lo era... eccome ! Tutte curve,
tutte molle. A volte, chiuso nel cassetto, insieme a tanti altri tipi
della mia specie, mi capita di pensare a seni prosperosi, morbidi,
caldi. Vari coltelli di mia conoscenza se la fanno con forchette e
forchettine, qualcuno ha perfino intavolato simpatie con mestoli e
cucchiai. De gustibus... Io rimango fedele alle donne. Ma rotondotte,
su questo non transigo; non obese, non fraintendetemi. Diciamo avviluppanti,
glissanti, accoglienti. Non che abbia cattivi pensieri... Mi piace
solo immaginare d’essere toccato da mani candide, grassottelle,
dalle unghie smaltate. Dolcemente accarezzato, impugnato per tagliare
con gesti netti e precisi una fettina di vitella, una bistecca ai
ferri. « Come taglia bene questo coltello ! ». Mi bastava
questa semplice frase per essere felice. Brillavo di gioia ! Ma ahimè,
di questi tempi le ragazze hanno altro per la testa che coltelli ben
affilati. Alcune sì, mi trovano utile, qualcuna perfino di
belle fattezze, molte però insistono a dire che sono tagliente
e la maggior parte mi trova decisamente “freddo”. Eppure
sono un tipo brillante. Non per vantarmi, ma proprio la sera prima
di quella brutta storia avevo fatto scintille ! Sulla mola, intendo.
Per la festa che s’annunciava sontuosa, m’avevano arrotato
per benino. Ma andiamo con ordine. Ecco la storia, raccontata per
una volta dall’arma del delitto, come, contro la mia volontà,
m’hanno poi chiamato.
Era una bella serata. Il mare sciabordava calmo, le stelle brillavano
nel cielo e sospesa leggera, riluceva una luna piena tinta di rosa
arancio. Un’orchestrina suonava, una cantante intonava dolci
melodie. Gli invitati erano tutti arrivati, s’aspettava solo
la festeggiata per iniziare. Io, disteso sul tavolo, occhieggiavo
le belle donne. Come lei arrivò, tutte scomparvero. Dopo quel
brivido rosso lamé che serpeggiò sul mio corpo, desiderai
una sola cosa : che venisse al mio tavolo. Non osavo sperare che fosse
proprio lei a sedersi al posto dov’ero... Mi sarebbe bastato
che la sua immagine si riflettesse di tanto in tanto sulla lama, sul
manico. Invece, era proprio quello il suo posto! Quasi m’uscì
un’esclamazione di gioia sovrumana quando m’afferrò;
che dico ?, delicatamente mi sfiorò. Con la mia lama prese
del burro e lo passò su un crostino, poi un po’ di caviale.
Chiusi gli occhi quando, e non osavo crederlo..., mi portò
alla bocca per leccare qualche granello di caviale che m’era
rimasto in punta. Non fu che un attimo, sentii soltanto un brivido
caldo e devo riconoscerlo, dall’emozione svenni. Come può
svenire un coltello, vi direte ? È semplice : non lo so. So
solo che persi conoscenza. Quando tornai in me, erano già a
fine pasto : sbucciavo una pera. Sarà stato il contatto con
quella polpa granulosa e fresca, chi lo sa?, ma ripresi conoscenza.
Sul momento restai interdetto ; perché usava me, un bel coltellone,
per la frutta ? Poco distante c’era uno di quei coltellini con
la lama che non supera i sei centimetri. Fu a quel momento che sentii
dire da un bellastro che era accanto alla mia contessina,
- Cara, perché non usi il coltello per la frutta ?
- Che ne so ?, rispose lei con uno splendido sorriso, m’è
simpatico !
Rischiai un secondo svenimento. Questa volta tenni duro.
- Guarda cara, continuò quel bellimbusto moro dagli occhi azzurri,
ho un regalino per te.
Doveva essere il fidanzato. Uno di quei tipi che solo a guardarli
ti fanno venire il mal di pancia, io dovrei dire “il mal di
manico”. L’avrete capito, non mi fu simpatico. Neanche
un po’. Fece comparire un astuccio di velluto blu. Ameriga mi
lasciò sul tavolo. Lo prese e l’aprì. C’era
un bracciale con tanti stupidi diamanti. Lei s’illuminò
e baciò quel tipaccio sulle labbra. Avrei voluto rizzarmi e
proiettarmi a staccargli d’un sol colpo la testa ! Voltai lo
sguardo. Al tavolo, oltre ai due c’erano una bella signora,
la mamma di Ameriga, suo papà, un signore distinto brizzolato,
suo fratello, un moccioso di più o meno sedici anni e una cugina
magra da far paura. Tornai a guardare lei : non c’era più
! Stava sulla pista da ballo. Stringeva quel bellimbusto, o meglio,
era lui a stringerla, mentre le sussurrava non so quale scemenza all’orecchio.
Da quel momento le cose andarono velocemente. Torta e candeline. Champagne,
applausi, altri regali, baci... Poi tutti se ne andarono. Le luci
si spensero. La terrazza stagnava nelle penombre create dalla luna.
Io, abbandonato sulla tovaglia, pensavo ancora al contatto delle sue
mani quando, sento passi, voci. Era lei. Seguita da lui. Bisticciavano.
Bravi !, pensai. Finalmente hai capito che non è tipo per te
; troppo alto, troppo moro, gli occhi troppo azzurri. Si sa di che
pasta son fatti quei signori...
- Perché non mi vuoi più sposare ?, urlava lui.
- Te l’ho detto, voglio ancora pensarci. È una decisione
importante, ci conosciamo da solo tre mesi...
- T’amo !
Ah, non era la prima volta che la sentivo una frase del genere. Nella
mia condizione di coltello di pregio, su quella terrazza di Capri
a strapiombo sul mare, ne avevo sentite di cotte e di crude. “T’amo...
t’adoro... amore mio... non posso vivere senza di te, eccetera
eccetera”. Ma un tono così falso non capitava ad ogni
cena, questo no. Come poteva la mia bella contessina credere a quel
losco figuro?
- Anch’io t’amo ma... aspettiamo.
Brava! Oltre che bella ha anche sale in zucca!
- Aspettiamo che ? Non me lo vuoi dire, c’è un altro
uomo nella tua vita.
Cambiassero almeno replica! No, questi signori parlano proprio come
nelle peggiori telenovelas.
- Non c’è nessuno.
Brava!
- E allora? Hai forse paura che ti sposi per i tuoi soldi ? Me ne
frego ! Vedrai che troverò un lavoro. Ho terminato con la mia
vita... Sì, finora ho fatto il mantenuto. Da quando t’ho
conosciuta, tutto è cambiato.
Non m’ero sbagliato. Troppo alto, troppo moro, gli occhi troppo
azzurri...
- Basta, ti prego. Partirò per una lunga vacanza. Al ritorno
ne riparleremo.
Non solo le curve, anche la testa aveva sviluppata la mia Ameriga!
Elegante anche nello scaricare. Il mio amore per lei triplicò
di colpo.
- Non ti lascio andare !
- Lasciami !
Non potevo crederlo ; una sensazione liscia intorno al mio corpo.
Quel tipaccio m’aveva afferrato, facendo bene attenzione a circondare
il manico con un tovagliolo ! Non fu che un lampo. Guizzai in aria,
verso la luna e mi ritrovai piantato in mezzo al suo petto ! Non ebbe
neanche il tempo di gridare. S’accasciò ed io restai,
impotente, a sentire i battiti del suo cuore farsi sempre più
deboli, finché cessarono, del tutto.
Non si scoprì mai chi fu l’assassino. Il bellastro recitò
bene la sua parte ; pianse, si disperò, disse che mai e poi
mai avrebbe trovato una ragazza così (ci credo: bella, ricca
e rotondotta), tentò perfino di buttarsi dalla terrazza...
Convinse tutti. Ah !, avessi il dono della parola !... Tante qualità,
ma questo non m’è concesso.
Finale : il caso “Stefanucci-Sudigiri” fu archiviato.
Io resto qui, in questo deposito oscuro e freddo, sigillato in una
busta di plastica.
Unica consolazione : le impronte di lei su me, per l’eternità. |
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