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Cardiopalma o cardiopalmo?

Molti linguisti – siamo certi – dissentiranno da noi su quanto stiamo per scrivere; la cosa, però, non ci preoccupa più di tanto in quanto siamo sicuri della bontà della nostra tesi a proposito della frequenza dei battiti cardiaci. E ci spieghiamo.

Le cronache sportive dei giornali e delle radiotelevisioni vogliono a tutti costi farci convivere con un sostantivo che a nostro giudizio è errato: “cardiopalma”.

A nostro avviso (checché ne dicano i soliti vocabolari permissivi) si deve dire “cardiopalmo” (con tanto di “o” finale) perché questo sostantivo che indica – come abbiamo visto – la frequenza dei battiti cardiaci è di provenienza greca essendo composto con “kardio” (cuore) e “palmos” (battito), derivato di “pàllein” (agitare).

La “a” finale, quindi, (cardiopalma) non trova una giustificazione dal punto di vista prettamente etimologico.

Il cardiopalmo, dunque, nel linguaggio medico, è lo stesso che ‘palpitazione’, vale a dire percezione soggettiva del battito cardiaco, di solito accelerato: fenomeno che occorre nelle più varie condizioni fisiologiche e patologiche e in genere quando vi è tachicardia.

Non si dice, infatti, ‘far venire il cardiopalmo’? La forma errata, dunque (cardiopalma), e divenuta di uso comune, potrebbe esser nata dal fatto che la frequenza dei battiti cardiaci mette in uno stato di agitazione che provoca un tremore della “palma”, cioè della parte interna della mano.

E’ incontrovertibile, del resto, il fatto che il “palmos” greco non ha nulla in comune con la “palma” (della mano) latina.

Per quanto ci riguarda, quindi, diciamo e scriviamo, sempre, cardiopalmo (con la “o”) e bolliamo come “eretici linguistici” coloro – le grandi firme, soprattutto – che, trincerandosi dietro il luogo comune secondo il quale l’uso fa la lingua, insistono “superbamente” nell’adoperare la forma scorretta.

La palma della mano, invece, è stretta parente di coloro che si… sposano. Vediamo dunque il grado di parentela dando la parola ad Aldo Gabrielli, nostro insigne Maestro.

“Perché si dice ‘impalmare una donna’ col significato di sposarla? E’ facile capirlo. Impalmare vale propriamente ‘unire palma a palma’, intendendosi le palme delle mani di due diverse persone; quindi ‘stringersi la mano’ come segno solenne di promessa.

La stretta di mano che suggella un patto, un accordo, una promessa è del resto cosa comunissima in tutti i popoli della terra.

E in antico, anzi, non serviva soltanto come severo impegno nella vendita, poniamo, di una coppia di buoi o di una partita di grano (…) ma impegnava perfino nelle alleanze politiche e guerriere (…). Non furono perciò esclusi gli affari di cuore.

Quando un giovane voleva giurare amore a una fanciulla, ne chiedeva licenza al genitore e, davanti ai familiari che fungevano da testimoni, si stringevano la mano, e questo aveva la stessa importanza di un giuramento (…).

‘Impalmare’, dunque, era l’atto solenne che valeva come promessa di fidanzamento; un fidanzamento che precedeva di pochissimo le nozze, tanto che presto ‘impalmare’ significò addirittura ‘sposare’, ‘prender moglie’.

Ed è un verbo che usiamo ancora con questo significato, anche se più spesso con una connotazione ironica o scherzosa. Né ironia né scherzo mettiamo invece in un’altra espressione affine di significato: ‘chiedere la mano’ di una ragazza: che deriva, è chiaro, da questo uso lontanissimo di stringersi la mano (palma, ndr) come promessa di matrimonio”.

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Redazione Manuscritto.it
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