Bel giovane, mi aiuti a
bere?
di Sabato Bufano
Passeggiavo
lentamente. Era mezzogiorno, e avevo approfittato di uno squarcio
di sole tra le nuvole cariche di pioggia di quella giornata. Che già
aveva riservato la sua razione di due temporali estivi, brevi ma violenti.
Stavo facendo due passi alla scoperta del paesino calabrese che da
due giorni ci ospitava per la nostra breve vacanza. Un’unica
strada attraversa tutto il paese: due file di case ai due lati, strette
tra il mare da una parte e la ferrovia e la montagna dall’altra.
I miei occhi vagavano ora a destra ora a sinistra, alla ricerca di
volti o angoli interessanti. Solo case, teli da mare stesi alle finestre,
a indicare che si trattava di case “estive”, certamente
disabitate d’inverno. Ecco la macelleria, il bar, il mini market,
la piazzetta. Una bella fontana al centro, che lanciava verso l’alto
i suoi spruzzi, disposti in cerchio, a formare giochi d’acqua.
Lo spazio intorno alla fontana era di un acciottolato grigio e rosso
cupo, a pietre dai colori alternati. Intorno siepi e fiori, che una
donna stava innaffiando. Di fronte alla fontana la chiesa del paese,
di mattoni rossi e di forma circolare. Le sue linee moderne ne lasciavano
indovinare la recente costruzione. Davanti al portone a due ante,
entrambe aperte, ad indicarla come luogo di accoglienza, una scalinata
di marmo e pietre digradava verso la strada. Come due semicerchi,
dal portone scendevano due rampe ad uso dei disabili. Voltai gli occhi
verso l’altro lato della strada, attirato dalle grida di un
uomo. “Pesce, pesce fresco!”. Dietro ad un furgone bianco,
col portellone posteriore alzato, un uomo bruciato dal sole e dalla
salsedine urlava il suo richiamo. Accanto a lui una bancarella di
fruttivendolo ambulante, dietro alla quale tre persone, forse marito,
moglie e figlia, servivano turisti curiosi e desiderosi di assaggiare
primizie fresche. Nella piazzetta e davanti alla chiesa il lento passeggiare
di altri turisti col naso in su ad ammirare il paesaggio, o intorno
a curiosare tra le persone: chi abbracciato alla ragazza, forse conosciuta
in vacanza, chi in compagnia del suo cane, chi a zonzo con la famiglia.
Più in là due vecchietti teneramente mano nella mano,
che sicuramente avevano molto da insegnare a noi giovani sull’amore:
sembravano due fidanzatini. Niente a che vedere con la frenesia della
città: estrema calma, estremo relax, estrema ricerca di tranquillità,
nel tentativo di ricaricare le pile in vista dell’ormai prossimo
ritorno nella bolgia di tutti i giorni. Ero assorto, passeggiando
lentamente, ad osservare la varietà di persone e di situazioni
intorno a me, quando sentii una voce: “Bel giovane, mi aiuti
a bere?”. Non ci feci caso, in un primo momento. La voce era
flebile, si sentì a malapena. Non conoscevo nessuno, non potevo
essere io il destinatario di quella richiesta. E poi non mi sentivo
certo un bel giovane! Dopo qualche attimo la voce ripeté: “Bel
giovane, mi aiuti a bere?”. Questa volta mi girai verso la direzione
da cui sembrava provenire quello che era poco più di un lamento.
Da uno dei semicerchi per disabili che convergevano verso il portone
della chiesa. Su quelle rampe c’erano tante persone, ragazzi,
adulti bambini. Erano lì, all’ombra, per ripararsi dal
raggio di sole appena liberatosi dall’abbraccio delle nuvole,
violento e caldo. Chi poteva aver parlato? Scrutai tra quelle persone,
che erano a non più di tre metri da me. Per la terza volta
la voce misteriosa ripeté: “Bel giovane, mi aiuti a bere?”.
Stavolta ne individuai l’origine: in mezzo a quella piccola
folla scorsi una sedia a rotelle. Su di essa una vecchietta, minuscola,
quasi rattrappita su quella carrozzella. La faccia e le mani erano
solcate da rughe profonde e fittissime. Avrà avuto cent’anni,
forse! Parlava proprio a me, infatti i miei occhi incrociarono i suoi,
quasi nascosti da un foulard che aveva in testa, che mi fissavano,
imploranti. Aveva indosso una veste logora, rattoppata qua e là.
I piedi erano nudi. Intorno tanta gente. Il mio primo istinto fu quello
di allontanarmi: non la conoscevo, non conoscevo nessuno lì.
E poi c’erano tante altre persone! Perché proprio io?
Ma poi incrociai nuovamente i suoi occhi: dolcissimi. La bocca semiaperta,
forse aveva davvero tanta sete, con quel caldo! Ma furono i suoi occhi,
piantati nei miei, a spingermi verso di lei. Mi avvicinai lentamente:
mi guardai intorno, a scrutare i movimenti degli altri, lì
a due passi. E se qualcuno mi avesse detto di occuparmi dei fatti
miei? E se qualcuno avesse cominciato a deridermi? E se …? Nessuno
si mosse, tutti indaffarati nel loro far niente. Mi avvicinai ancora:
ora ero ad un passo da lei. Lei ripeté la richiesta: “Bel
giovane, mi aiuti a bere?”. Mi girai intorno, alla ricerca di
una fontana, di un bar, di un chiosco. Non avevo fatto caso che la
vecchietta mi aveva chiesto di aiutarla a bere, non da bere. Indicò
con una mano tremante una specie di zainetto, ancora più logoro
del suo vestito, poggiato per terra, accanto ad una ruota della sua
carrozzella. La guardai con espressione interrogativa. “Bel
giovane, fruga nella mia borsa: c’è una bottiglia”.
Rapito da quegli occhi imploranti e dalla dolcezza della sua voce
infilai una mano nella borsa. C’erano tante cianfrusaglie. Frugando
trovai effettivamente una bottiglia. C’era anche un bicchiere
di plastica. Era stata previdente, la signora. Stappai la bottiglia,
riempii il bicchiere e glielo porsi. Tentò con una mano rattrappita
di afferrarlo, ma le sue dita non riuscivano a stringersi attorno
al bicchiere. Mi guardò ancora: il suo sguardo chiedeva aiuto.
Allora, senza pensare, spinto da un moto di pietà, presi il
bicchiere e glielo accostai alle labbra. L’aiutai a bere: era
questo che mi aveva chiesto infatti, aiutarla a bere! La bottiglia
era calda, quell’acqua non era certo fresca: era in quello zainetto,
sotto il sole, già da molto tempo, forse. Ma lei si sentì
subito rifocillata, rinfrancata: i suoi occhi si fissarono di nuovo
sui miei, riconoscenti, stavolta. “Come ti chiami?”, mi
chiese. Le dissi il mio nome.
“E lei, signora, come si chiama?”
“Carmela”
“Bel giovane, posso chiederti un altro favore?”
“Dica, signora!”
“Ho freddo ai piedi. Mi aiuti a mettere le pantofole?”
Mi imbarazzò un poco, quella richiesta. Ma ormai non avevo
più remore.
“Dove sono?”
“Lì, nello zainetto”
Rovistai ancora nello zainetto. Vi trovai un paio di pantofole sbiadite,
consunte, sudice. Gliele porsi.
“Aiutami”, mi chiese, piantando ancora una volta i suoi
occhi nei miei. L’aiutai a indossare le pantofole.
“Grazie. Sei un bravo giovane, tu!” mi disse, con un filo
di malinconia nella voce.
“Come mai è sola qui?”
“Non sono sola. C’è una brava ragazza polacca che
si prende cura di me”.
“E dov’è adesso?”
“Anche lei ha bisogno di fare le sue cose. Mi porta qui la mattina
e mi riporta a casa la sera”.
“E lei tutto il giorno rimane qui da sola?”
“Sì. Quando mi serve qualcosa chiamo qualcuno che passa.
Anche se non sempre qualcuno si ferma. Non tutti sono bravi giovani
come te!”
Quelle sue giornate solitarie sui gradini di una chiesa mi sconvolsero.
“Ha figli, signora?”
“Sì, quattro. Quattro figli!”
“E dove sono?”
“Eh, hanno la loro vita. Tutti sposati, sai? Vivono lontano,
a Milano. Lavorano. Ed ho sette nipoti”, dichiarò, orgogliosa.
“Vengono a trovarla?”
“Eh, quando possono! La vita a Milano è frenetica, sai?”
“Ma non potrebbero portarla a casa loro, ospitarla, accudirla?”
“Eh!” sospirò.
“Sarei d’impiccio. Per le loro famiglie, per il loro lavoro.
Posso cavarmela anche qui. Sono loro che hanno trovato Alena, sai?”
“Chi è Alena?”
“La ragazza polacca che mi accudisce! Sono loro che l’hanno
trovata e che la pagano, sai?” esclamò, in un tentativo
di difesa ad oltranza dei propri figli che solo una madre è
in grado di operare.
Salutai la signora con un bacio. Ormai non mi interessava più
della gente intorno, o di quello che avrebbe pensato. Le promisi che
sarei tornato il giorno dopo.
Ero sconvolto da quella donna che forse tanti sacrifici aveva fatto
nella sua vita, e forse tutti per i suoi figli. E ora era sola, sui
gradini di una chiesa, in mezzo ad una folla indifferente. I suoi
figli non avevano trovato di meglio che pagare Alena, per la loro
mamma.
Passai di lì nei giorni successivi, sempre alla stessa ora,
nella speranza di incontrarla di nuovo. Non la vidi più. Mi
piace pensare che qualcuno dei suoi figli sia tornato da lei, a farle
compagnia nei suoi ultimi giorni, o mesi, o anni. Non voglio pensare
ad un finale diverso.
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