Medea
di Annalisa Rossi
Tesso e vecchia
e straniera. Qualcuno ancora mi chiama Medea. Fui stirpe del Sole,-ah!-,
ma di sole al tramonto.
Tanto vivere. Perché?
Il sentiero è sempre più noioso e non c’è
sufficiente amore.
Mai conobbi la penombra o i grigi: ebbi solo certezze.
Non seppi che fosse l’indifferenza: oggi conosco il distacco.
Tesso una tela per il mio sudario, nel silenzio di gesti e parole.
Tesso una tela per il mio corpo che si macchiò d’osceni
misfatti, che orai si palesano nell’alto, fronte e stelle: volti
di bambini, rossi i capelli e sguardi d’edera.
Tesso una tela per il mio volto. Volto di gigli soavi, di sinuose
ed ombrose linee di luce. Volto di bambina curiosa, fumosa di passioni
abbozzolate. Volto d’adolescente, petali bianchi, piccoli boccioli
incoronati, labbra sognanti, magie scure, serpenti di capelli.
Volto di donna tormentata, affannata, in attesa senza ricordi che
promuovono salvezze silvestri, che promettono freschezza di scelte.
Tesso, stasera, anche per Voi. Voi che conosceste solo Amore: Amore
di lune nere, che ancora m’inseguite ogni giorno, pendendo dalle
mie pupille.
Voi che gridate “ Mamma, aspetta, il più piccolo è
morto” e il gallo canta.
Portatene uno a Esculapio e che sia finita! FINITA.
Voi che con un ultimo sorriso mi gettate fiducia come mazzi di rose.
Tesso. E tesso una tela anche per Te, uomo di gomma, di quelle americane,
che si sfilacciano a masticarle, come il tuo amore. Si: di Te ho un
ricordo netto e preciso attraverso un tempo un po’ immoto, ch’è
quiescenza d’infinito.
A te, fantasia rara di mani, echi di balsami musicali sul mio corpo,
fiori che si schiudono.
Con Te, un cuore umido e rosso la tua bocca, ho intrecciato pensieri,
come rami luccicanti, come arabeschi lunari. Tra Te ho immerso la
mia voce e il mio desiderio, romantico e folle.
Tesso una tela. Trama una trama di lini bianchi, voluttà e
mistero, e insieme ricordo.
Il mio viso e il mio corpo sono annullati dal Tempo.
Ho provato a camminare dopo di Voi, sentendo l’odore amaro della
terra, siero di corpi e di cose, eterno presente.
Ho lasciato la mia mente a vagare, a cercarVi, miei figli, tra cieli
e specchianti aurore, sperando in un luogo.
Anche adesso che questo mio corpo indugia stanco e malato, ho provato.
Ho trascinato i miei passi pesanti e le mie ali rotte tra gli sconfitti,
i morti, i benpensanti, la tua gente, Giasone. Loro non erano là.
Ho scordato i loro nomi: questo è il problema. Non so chiamarli.
Così tesso, stasera, un sudario.
Un tempo è stato: un tempo è venuto.
Ho lasciato alle spalle volti e nomi.
Non temo la fine, annullamento e pace, né provo angoscia nel
passo.
Ho conosciuto Virgilio e Dante, Shakespeare e Montale: con loro ho
cantato le Muse. Ho riso e ballato con amici diversi. Ho fatto l’amore.
Qualcuno nel mondo ancora ricorda chi sono.
Ho compiuto “ consapevoli scelte”, voluto un figlio, ho
scontato la mia forza, ho raccolto i sorrisi dalle bocche dei più
per farne mazzi con cui adornare i rododendri che son sul soffitto.
Tesso e vecchia e straniera.
Giasone, il tuo nome!, il tuo nome: parola di silenzio!
Silenzio e vuoto. Sensazione di paura. perché? Che ho fatto
per Te?
Un sudario. Ecco!!! ho fatto un sudario.
Tesso una tela, tramo una trama, Aracne silenziosa, che racconta di
Te: eri solo un ragazzo che sfidava la vita zufolandole in faccia
con gli steli dell’erba, tutt’occhi, limpidi come i primi
freddi, quelli che ti fanno accapponare la pelle.
Tu, sguardi chiari, brina sui miei pensieri.
E io, figlia del Sole. Dicevi di me che ero l’estate, invitante
e luminosa, quando tutti i colori diventano più colorati.
Tesso una tela, stasera: un bozzolo dove riposerà questo corpo
di baco.
Dove sei? Ad un passo da me: un presente aperto e tutto in discussione.
Tesso un sudario di lini fini, chè nulla graffi il mio corpo
così voluttuosamente e freneticamente plasmato da Te.
Tesso una tela, tramo una trama. la notte si stacca dal mondo: un
ricordo alla fine, un sacro profano simbolico addio.
Pensieri di morte e di Te, Giasone.
E’ necessario: morte per morte, aure beate senza gli inganni
del vivere, dimenticato e seccato al sole del presente.
Ti penso, un poco, e ne soffro e ricordo: per questo mio odio e mi
uccido.
Un lampo: una pagina chiara e bianca.
Una storia si scrive. |
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