Nausicaa
di Annalisa Rossi
“Han stabilito
le nozze.
La tunica rossa di porpora e il bordo d’oro son fatti.
Le donne giù, nelle stanze, preparano perle d’ostrica
bianca per i monili del vincolo sacro, tramano stoffe di pepe e cannella,
di risa e di sogni.
Lini preziosi han tinto per me, per me sola, figlia di re, merce da
accordo.
Lui l’ho intravisto di notte: un uomo magro e concreto, gran
barba oscillante.
Non ho partecipato al banchetto: è stato solo un trattato d’affari,
d’alleanze legate attraverso una donna e un futuro previsto
di figli.
Tutti i giorni la torre, rifugio dei gabbiani più vecchi, quella
che s’affaccia sul porto, ha un’ospite.
Qui vengo a cercar timorosa gli atleti che tornano a casa, ma non
c’è chi li vinse.
Son passati degli anni: Nessuno ritorna!
Ritornano forse i fantasmi?
Dovrò smettere anche quest’ultimo rito.
Nessuno, Nessuno ritorna!!
La maschera pura che indosso ogni giorno m’ha resa appetibile
a molti.
Occhi che scivolano come acqua su tutti e su tutto lo chiaman pudore
e virtù, ma non sanno che, prima di tutto, t’abitui a
annusare.
Una madre odore di croco, un padre incenso e wisky di scozia, sorelle
sangue dolciastro e clorofilla amara. Le serve, arguzia di chimica
rosa. Zolfo e salnitro infidi, i cortigiani. Pietra e polvere, i guerrieri.
Olio di noce e afrore animale, gli atleti.
Bambina, giocavo occhichiusi a pensare: un odore, un carattere.
M’immaginavo accecata, immersa nel buio, senza l’attacco
violento del Sole, non costretta ogni dove a uno scivolo d’occhi.
Pudore e virtù.
Appena fanciulla successe il fattaccio.
Vicino alla polla fuori le mura, riverso in mezzo alle putride canne,
fu lì che lo vidi.
Guardai, ringraziando che gli fosse sepolta la luce degli occhi fin
dentro la sabbia.
Fermammo il carro, noi donne ed ancelle, eccitate.
Sembrava un cadavere uscito da un naufragio di sangue.
Per questo guardai.
Che non fosse un ragazzo s’intuiva dalle mani seccate, autostrade
le vene. Ma era robusto, la pelle rattrappita dall’acqua e dal
sale di giorni.
Era bruno, ma di pelle soltanto. Barba folta e capelli di narciso
da lungo sbocciato. Piedi lunghi, un po’ piatti, abituati alla
nave. Biondo il sesso di uomo.
Le mie donne si fermarono per cercare un profilo finito.
Le scostai con un gesto imperioso.
Mi mossi da sola.
Da vicino annusai: tela celeste e felce. Poi un profumo innocente
di muschio e di umido orso.
L’illuminazione mi giunse improvvisa, nell’attimo dello
sguardo fermato.
Fino ad allora erano solo i miei occhi ad essere sempre rimasti per
terra, mentre in realtà il mio pensiero volava già in
alto, nel tempo.
Uno scatto improvviso nel corpo dell’uomo mi disse che sarebbe
vissuto.
Sbatté gl’occhi e mi vide. Tremò. Mi scambiò,
illuminata com’ero dal sole, per un’ombra di morte.
S’alzò.
Erano anni che la mia vita andava in cerca d’un desiderio, uno
scopo, ed ora eccolo! : raggrumato tutto in un unico uomo.
Si riparò nel canneto, intuendo noi essere donne soltanto.
Anche Davide fuggì sulle prime Betzabea, la bella, impossibile
premio?
Anche il Sole di Luigi di Francia cercò una nube quando vide
Madam de Montespan per la prima volta?
O Tristano anche lui all’inizio nascose il suo viso, per non
cogliere l’irrealizzabile desiderio d’Isotta?
Ma no!!! Loro non erano vergini!!!
La differenza sta lì.
Implorò, invece, Ulisse, una veste e un riparo, passandomi
addosso quei grandi occhi viola.
Riconobbe, da buon latin lover, la rosa dalla purissima carne, l’ineffabile
fragranza del fiore non colto. Riconobbe a un’occhiata tutto
questo, con la struggente nostalgia della tristezza.
Valutò le mie caviglie da gazzella, il corpo scuro e flessuoso,
il profilo vagamente rapace.
Ne sostenni lo sguardo e sciolsi in gesto nervoso i miei lunghi corvini
capelli.
Ordinai con un gesto imperioso alle ancelle la veste. Lo feci salire
sul carro.
Fu compito e gentile. Guardava spesso alla rocca. Lo lasciammo al
cortile.
Lo rividi la sera, al banchetto, camicia di seta, zafferano i capelli,
malva tra le graminacee.
Fu un attimo solo, ma ne accettai lo sguardo.
S’inchinò sogghignando, da leone consapevole e feroce.
Se mi avesse voluta, lì, in quell’istante, gli avrei
offerto tuberose e giacinti, sarei diventata cavalla che riesce a
perdere il morso.
Ritornò al suo posto.
Se ne andò il giorno dopo, lancia in resta, Don Chisciotte
dei mari.
Lo vidi partire per ritornare dentro l’ombra, sotto gli olivi
che inghiotton le onde.
Rimpiansi da allora il mio unico e ultimo sguardo sul mondo.
Mi trascinai ogni giorno dalla cucina al letto e di sera alla torre,
per illudermi ancora di vederlo tornare.
Da qui l’aria odora di muli e merletti, di dalie e gioielli.
Ieri m’han dato un marito. Da oggi conto qualcosa. Son pegno
di pace.
Intanto sul porto e sul molo si siede il grigiore della notte che
incombe.
Nessuna distanza colmerà mai la tua assenza, uomo di rame e
di mirto.
Se tu non fossi venuto, stanotte non avrei indossato la tunica nera,
novella di Svezia regina Cristina, per scappare a un marito già
secco, ad una routine di regina, al rischio di figli.
Il mio pensiero ti gira intorno come vento di scogliera e apre la
nuvola nera il volto di te, l’amato, il guardato.
Fuggirò per cercare un istante che sia pieno di occhi.”. |
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