Going
places.
I luoghi del cuore.
CAPITOLO
I
Ti porter� dentro come l'uomo
che non sei stato. Ti ricorder� come il ladro
dei miei sogni e, se mai ti incontrer� in mezzo
alla gente, far� finta di non conoscerti, perch�
solo cos� potr� raccontare a me stessa la bella
favola che mi hai portato via. Di te mi rimane
solo la spaventosa sensazione di ritrovarti sempre
in ogni uomo, in ogni storia da cui ho cancellato
la parola "amore �". Quando Silvia rilesse quell'attacco
che gi� da troppo tempo si era insinuato nella
sua mente, fu una folgorazione. La carta aveva
rotto un incantesimo e l'inchiostro che scorreva
su quella pagina bianca aveva gi� cominciato a
intessere il filo conduttore di una vita, che
finalmente sembrava svelare una trama di cui tutti,
anche Silvia, avevano sempre ignorato l'esistenza.
Non � facile dare la parola al proprio cuore,
scrivere le parole che ti suggerisce, perch� quasi
sempre ti accorgi di quanto lui sa pi� di te.
Silvia voleva colmare con le parole il vuoto sempre
pi� profondo di un abbandono, affidarsi al suo
cuore per parlare proprio all'uomo che lo aveva
spezzato e glielo aveva restituito gonfio e pieno
di dolore. Capire per ricominciare a vivere, sfogare
la rabbia per placare la sofferenza. Questo era
lo scopo di una lettera a Matteo: due righe che
divennero ben presto il resoconto di un'intera
esistenza durata appena trent'anni. E' bello e
al tempo stesso terribilmente angosciante vedere
i propri sentimenti che diventano pensieri nel
momento stesso in cui dal cuore salgono alla mente
e dalla mente si trasferiscono sulla carta. I
gesti, le parole, gli avvenimenti acquistano una
logica quasi perfetta, per quanto perfetto possa
essere l'agire umano. E allora si diventa assetati
di spiegazioni e si cerca di scavare sempre pi�
a fondo, l� dove il dolore � pi� intenso, per
cercare di non soffrire pi�, con la consapevolezza
malcelata che comunque si soffrir� di nuovo, di
pi� e forse per gli stessi motivi.
Matteo se n'era andato per sempre, era sparito
senza dare troppe spiegazioni. Tre anni svaniti
nel nulla, nel breve tempo di una telefonata.
Lui, sempre cos� ricco di parole e di consigli
per tutti, non aveva saputo motivare la sua scelta.
Come tanti, aveva preferito dire a Silvia che
se ne andava per non farla soffrire, perch� le
voleva bene ma non era pi� innamorato. Lei era
rimasta l�, all'altro capo del telefono, ad aspettare
una parola di conforto che non arrivava. Ne aveva
bisogno come dell'aria che respirava, ma non sentiva
che il freddo di silenzi che prendevano a pugni
il suo stomaco, uno dopo l'altro, senza alcuna
piet�. Come costruita di ghiaccio, non riusc�
neppure a piangere, ma il mondo le sembr� invertire
di colpo la sua rotta, mentre i suoi sogni svanivano
lontano, in una galassia irraggiungibile, che
alcuni preferiscono chiamare "passato".
E poi, come spiegarlo a Nicky? Aveva appena sei
anni e Matteo era sempre stato, per lui, l'unica
cosa pi� vicina ad un padre.
Ed ecco affacciarsi il desiderio di scrivere,
di sfogare la rabbia sulla carta inerme, pronta
a sopportare il peso di qualsiasi angoscia. Ma
fu proprio allora, che, davanti a quella prima
frase buttata di getto per trovare un attacco,
i pensieri presero un'altra direzione, scavalcarono
Matteo e, attraverso l'immagine di Nicky, si fecero
strada tra i mille eventi della storia pi� recente.
Il biancore etereo di quella pagina bianca cominci�
a risucchiare il presente come in un vortice inesorabile
di suoni e di colori. Davanti agli occhi solo
macchie indistinte che si amalgamavano tra di
loro e tutto attorno i contorni sempre pi� confusi
della stanza che stava per essere assorbita da
una luce sempre pi� vicina, sempre pi� accecante.
Quando il viaggio della mente si concluse, Silvia
rivide chiaramente i contorni delle cose davanti
e attorno a s�. Un freddo pungente e implacabile
tagliava le mani e seccava le labbra e il viso,
mentre il vento soffiava forte e si insinuava
tra i capelli e gli spiragli di un cappotto troppo
leggero.
S�, quel portentoso viaggio a ritroso della mente
si concluse proprio l�, dove la vita del cuore
era cominciata: a New York.
Era il 18 Gennaio 1992. L'aeroporto JFK rappresentava
per Silvia, ci� che Ellis Island aveva rappresentato,
in passato, per milioni di emigrati: il primo
sbarco sul suolo americano e l'inizio di una nuova
splendida avventura nel nome della libert�. Nulla
era come aveva immaginato: era tutto pi� grande,
pi� bello, pi� emozionante. I visi delle persone,
che salivano di fretta sui taxi, spinte dal freddo
o dal ritmo incalzante di una citt� che non lascia
respiro. Gli impeccabili autisti in livrea che
sparivano dietro i vetri fum� di lunghe limousine.
Le razze pi� diverse sbarcate sul suolo di un'America
che, proprio grazie a loro, inventa ogni giorno,
per s�, una nuova cultura e il modello di una
civilt� che il resto del mondo cerca di imitare.
Silvia era rimasta incantata: con gli occhi sgranati
guardava lo scenario di quel nuovo mondo tanto
immaginato. Dietro di lei solo le porte a fotocellula
dell'aeroporto che le avevano spalancato davanti,
come per magia, l'alba della sua nuova vita. Il
viaggio in taxi alla volta di Manhattan assomigliava
ad un film che si svolgeva a 360 gradi davanti
ai suoi occhi, mentre l'emozione cresceva al ritmo
dei battiti del suo cuore. Le autostrade erano
fiumi enormi che scorrevano senza sosta, andando
ad immettersi in tanti piccoli affluenti. All'orizzonte
gi� si scorgevano i grattacieli, come tante protuberanze
che stendevano la loro ombra sulla sagoma perfetta
di quell'isola, ultimo approdo dei viaggiatori
in cerca di una ragione per continuare il viaggio.
Erano passati solo tre giorni dall'arrivo di Silvia
nella Grande Mela. La bacheca della New York University,
che gli studenti, pi� confidenzialmente, chiamano
NYU, esponeva gli annunci con ogni sorta di offerta.
Silvia era approdata l�, come tanti altri ragazzi
prima di lei, per cercare un appartamento ad un
prezzo ragionevole. Scrutava quel muro da pi�
di un'ora, ma ogni volta tornava con lo sguardo
ad un foglietto sgualcito che, a mala pena, si
scorgeva tra quelli variopinti che facevano a
gara per farsi notare. Una ragazza cercava una
compagna con cui condividere il suo appartamento
a pochi passi dall'universit�, in Groove Street.
Dalla sua borsa enorme Silvia tir� fuori una piantina
di Manhattan, cos� nuova e ben piegata, da rendere
noto a chiunque la sua estraneit� a quella grande
citt�. Erano appena le 8 e 30 del mattino. L'edificio
centrale dell'NYU, dove Silvia si trovava, era
gi� un via vai di studenti chiassosi. L'Anno Accademico
stava ricominciando dopo le vacanze natalizie
e l'entusiasmo di rincontrarsi era quasi palpabile.
Le imponenti porte d'ingresso immettevano nello
stabile un flusso continuo di studenti. L'aria
gelida del freddo gennaio newyorkese entrava ad
intermittezza, mista ad un profumo dolciastro
di frittelle e caff�.
"Dove vuoi andare?".
Silvia alz� lo sguardo, sorpresa che qualcuno
si stesse rivolgendo proprio a lei. Forse si era
sbagliato, forse c'era stato uno scambio di persona.
A volte capita, pens� lei.
"Se ti sei persa, forse posso aiutarti�Dove vuoi
andare?".
"Dove voglio andare?" pens� Silvia. Per un istante
se ne dimentic� completamente. Ogni suo senso
era stato assorbito da un vortice indefinibile
di emozioni, ed ebbe la meravigliosa ed inquietante
sensazione che da quel momento la sua vita non
sarebbe pi� stata la stessa. I suoi occhi incrociarono
lo sguardo di quel ragazzo che continuava a guardarla.
Il suo viso era buffo e delicato. I suoi capelli
arruffati incorniciavano le guance lisce, su cui
due fossette pronunciate accompagnavano i movimenti
della bocca carnosa. La sua voce era dolce e rassicurante,
profonda e vagamente sensuale.
Silvia indic� con il dito l'annuncio appeso alla
parete: "L�, devo andare l�", fu tutto quello
che seppe dire.
"Oh, Groove Street! Non � lontana. Ma se non sei
pratica del Village rischi di perderti. Manhattan
� semplicissima da girare. Tranne questo quartiere�un
inferno di strade aggrovigliate. Ci vorrebbe sempre
una bussola. Io ancora faccio fatica ad orientarmi".
Silvia aveva cominciato a fissarlo dritto negli
occhi con la testa inclinata sulla spalla destra.
Lo faceva sempre quando si sforzava di leggere
tra le righe di chi le stava parlando. Cercava
di attaccare discorso? Voleva essere gentile?
Voleva farla sentire a suo agio? Gli era forse
piaciuta? Magari! Pens�. Eppure c'era qualcosa
di familiare nel suo modo di fare. Per un attimo
le sembr� addirittura di averlo gi� visto. S�,
ma dove? Forse era solo una somiglianza con un
amico. S�, ma chi? No, non lo aveva mai visto,
ma di lui gi� sapeva qualcosa di fondamentale:
che si poteva fidare. E allora, per la prima volta
da quando era a New York, chiam� a raccolta tutte
le sue nozioni di grammatica inglese e si lanci�
in un discorso pieno di frasi idiomatiche buttate
alla rinfusa, verbi irregolari studiati per anni
con scarso successo e genitivi sassoni usati a
sproposito. L'emozione le faceva brutti scherzi
anche quando parlava in italiano, figuriamoci
in inglese.
Ma il messaggio arriv� : "Sto cercando un appartamento.
Sai, devo rimanere qui per 6 mesi. Mi sono iscritta
ad un corso all'universit��cos� miglioro anche
il mio inglese. Ne ho proprio bisogno�".
Era sempre cos�, se poteva sminuirsi lo faceva
sempre. Una frase buttata l�, magari tra le righe,
ma l'autostima non era mai stata il suo forte.
Non che ne fosse priva, ma per una qualche misteriosa
ragione sentiva sempre l'esigenza di giustificare
a priori una sua qualche mancanza presunta o reale.
Il ragazzo sorrise bonariamente. Il suo sguardo
divenne ancora pi� dolce e vagamente ironico.
"Il tuo inglese � perfetto, hai solo bisogno di
parlarlo".
"Grazie".
"Oh, non mi devi ringraziare."
Poi allung� la sua mano verso di lei e si present�
:"Mi chiamo Billy." "Piacere, Silvia".
"Sei per caso italiana?".
"S�, ma�come hai fatto? Si capisce cos� bene?"
"L'accento � inconfondibile e bellissimo".
Billy e Silvia erano gi� amici. Amici da anni,
anche se non si erano mai conosciuti.
"Adesso ho lezione. Se vuoi, oggi pomeriggio ti
accompagno..." Billy sorrise, con gli occhi fissi
dentro quelli di Silvia che ormai aveva superato
il suo disagio iniziale. E si sentiva bene, bene
come non si era mai sentita fino ad allora.
"Allora ci rivediamo qui�"
"Alle due" replic� Billy.
"S�, alle due. Grazie"
Billy le aveva gi� voltato le spalle. Stava per
incamminarsi. Poi si ferm� un attimo e gir� la
testa, inclinata sulle spalle larghe e un po'
incurvate, come se la sua altezza lo infastidisse
un po'. "A proposito, Silvia�non mi devi ringraziare."
E si allontan�.
Silvia rimase l�, con l'impressione di avere sbagliato
qualcosa, ma finalmente sentiva che quel viaggio
era gi� cominiato bene.
Grazie a Billy, Silvia, quel pomeriggio, riusc�
ad arrivare a casa di Jennifer, la ragazza americana
che cercava una coinquilina. Bast� un sorriso,
una stretta di mano e la sera stessa si trasfer�.
Jennifer cucin� per lei, chiam� a raccolta tutti
i suoi amici, snocciol� tutte le poche parole
che conosceva in italiano. Organizz� insomma una
vera e propria festa in onore della nuova amica
venuta da oltreoceano.
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